Il mobbing lavorativo

Con il termine anglosassone “mobbing”, ormai a tutti noto, si è soliti indicare tutti quei comportamenti vessatori posti in essere da un soggetto nei confronti di un altro, che provocano nella vittima frustrazione e disagio, in alcuni casi cagionando un vero e proprio danno risarcibile. 

Il settore nel quale è più riconoscibile questo tipo di comportamenti è sicuramente quello lavorativo, nel quale posizioni di potere e rapporti gerarchici possono facilitare la messa in atto di condotte prevaricatrici.   

MOBBING VERTICALE E ORIZZONTALE

Si parla, a tal proposito, di mobbing verticale, la forma più diffusa, proprio con riferimento ai comportamenti vessatori esercitati dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico nei confronti di uno o più dipendenti o collaboratori.

Tante possono essere le condotte mobbizzanti, a partire dalle espressioni verbali offensive e denigratorie, fino ad arrivare ad atteggiamenti di prevaricazione che non tengono conto delle funzioni e capacità della vittima, come l’assegnazione di incarichi e mansioni svalutanti o, al contrario, la continua pressione per spingere il dipendente a produrre sempre di più.   

Esiste, tuttavia, anche una forma di mobbing detto “orizzontale”, attuata tra colleghi, spesso dettata da invidia e competizione oltre i limiti, con la finalità di screditare la reputazione della vittima e metterla in cattiva luce agli occhi dei superiori.

In tutti questi casi il lavoratore, qualsiasi sia la natura del rapporto di lavoro, può ricorrere al giudice per tutelarsi e, se ha subito danni, ottenere il risarcimento.

DIRITTI DELLA VITTIMA

Il nostro ordinamento, infatti, contiene alcune norme in base alle quali il lavoratore vittima di mobbing può ricorrere in Tribunale, sia in sede civile che penale.

Dal punto di vista civilistico la norma generale cui fare riferimento è l’art. 2043 c.c., in base alla quale chiunque cagiona ad altri un danno ingiusto è obbligato a risarcire i danni conseguenti.
Vi sono poi norme particolari relative al rapporto di lavoro, come l’art. 2087 c.c. che impone all'imprenditore di adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale di lavoratori, nonchè norme speciali contenute nello Statuto dei lavoratori e nel nel Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

In sede penale, qualora le conseguenze del mobbing abbiano determinato conseguenze rilevanti sulla salute e la stabilità psicofisica della vittima, il lavoratore può denunciare l’autore della condotta illecita per il reato di lesioni personali di cui all'articolo 590 del codice penale. 

Vediamo, ora, quali sono i danni risarcibili per le vittime di mobbing.

DANNI RISARCIBILI

Il risarcimento può riguardare il danno patrimoniale, quando a seguito della condotta lesiva la vittima abbia avuto una perdita economica o una riduzione delle sue entrate; si pensi situazioni in cui, a causa di ansia e sfiducia, la vittima abbia perso occasioni di guadagno o opportunità di affari economici.

L’ambito in cui maggiormente il mobbing dispiega i suoi effetti è quello del danno non patrimoniale, all’interno del quale si annoverano il danno biologico, cioè la lesione psicofisica subita dal soggetto, e il danno morale, inteso come l’intima sofferenza patita a seguito del sinistro, nonché il danno esistenziale o alla vita di relazione.

In ogni caso, per tutte le voci di danno, la vittima che agisce per il risarcimento deve in primo luogo dimostrare che tra fatto illecito e danno sussista un nesso di causalità, cioè che l’evento dannoso sia stato determinato proprio dalla condotta tenuta dal  responsabile, nel caso specifico dal medico o sanitario.

In secondo luogo è necessario dimostrare di aver subito un danno, fornendone la prova in giudizio, che potrà essere documentale e istruita con prove testimoniali e perizie mediche e contabili, che confermino i danni lamentati e ne consentano una quantificazione.

pubblicato il 12/06/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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