Assegno di divorzio non dovuto all’ex coniuge che si rifiuta di lavorare

In materia di divorzio l’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, in virtù del quale “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Dovere di solidarietà economica

Tale norma, come ha ribadito più volte la Corte di Cassazione, ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà economica», il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi a tutela della persona più debole; in mancanza di ragioni di solidarietà economica, pertanto, l'eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in un ingiusto arricchimento del coniuge percettore dell’assegno, come è più volte accaduto in passato quando si faceva riferimento in astratto al criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio.
Ricordiamo, infatti, che con l’innovativa sentenza n. 18287 dell'11 luglio 2018, le Sezioni Unite della Cassazione hanno messo in discussione il criterio, fino ad allora utilizzato dai giudici nei processi di divorzio, del “tenore di vita matrimoniale”, privilegiando il criterio della valutazione della mancanza, in capo al coniuge richiedente, di mezzi adeguati o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso, alle capacità e possibilità effettive di svolgere  attività lavorativa, alla stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Il caso

In conformità con questi nuovi principi si è espressa la Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 26594/2019, in un caso nel quale ha rigettato il ricorso dell’ex coniuge (moglie) beneficiario dell’assegno di mantenimento, sulla base della valutazione del suo rifiuto di svolgere attività lavorativa, pur avendone le capacità e la possibilità.
In particolare, l’ex marito aveva dimostrato in giudizio che la ex moglie si era licenziata dal lavoro di cassiera ed era tornata a vivere, dopo la separazione, dai genitori; si era quindi rifiutata di trovare una nuova occupazione, pur essendo in giovane età.

Impossibilità oggettiva di lavorare

Secondo i giudici investiti del caso, anche alla luce della giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite del 2018, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale, ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilita' di procurarseli per ragioni oggettive; nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato che tale l'impossibilita' di procurarsi i mezzi adeguati di cui all’art. 5 legge 898/70, non dipendeva da incapacità lavorativa o da fattori esterni alla volontà del coniuge richiedente l'assegno ma da una sua libera scelta.

Nessuna prova, inoltre, la ex coniuge richiedente l’assegno aveva fornito riguardo all’eventuale  contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare, anche in termini di cura della famiglia, o di un sacrificio delle sue aspettative lavorative in funzione delle esigenze familiari.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza, nel caso di specie, delle ragioni alla base del diritto all’assegno divorzile, rigettando il ricorso della ex moglie e confermando la decisione d’appello che aveva revocato l’assegno.

pubblicato il 18/12/2019

A cura di: Daniela D'Agostino

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