Revocabili le rimesse su conto corrente della società fallenda

Principio generale del diritto civile, in materia di obbligazioni e pagamento di debiti, è quello della “par condicio creditorum”, in base al quale i creditori di un unico soggetto debitore hanno uguale diritto di essere soddisfatti, salvi i diritti di prelazione previsti dalla legge per alcuni tipi di crediti (si veda sull’argomento l’articolo sulle cause legittime di prelazione).

Accade, nella realtà, che tale parità venga compromessa da atti dispositivi del patrimonio compiuti dal debitore, il quale, tramite pagamenti, cessioni ed alienazioni di beni, può violare il principio anzidetto, danneggiando uno o più creditori.

AZIONE REVOCATORIA

Per ripristinare l’ordine dei pagamenti e la par condicio creditorum il nostro ordinamento, tra i vari strumenti giuridici previsti a tale scopo, individua l’azione revocatoria, che si distingue in “ordinaria” – disciplinata all’art. 2901 c.c., per cui si rimanda all’articolo sul tema specifico – e “fallimentare”.

Quest’ultima riguarda i debiti dell’imprenditore fallito ed è disciplinata all’art. 67 della legge fallimentare, che dispone la revocabilità, da parte del curatore fallimentare, degli atti a titolo oneroso, dei pegni e delle ipoteche, dei pagamenti effettuati dall’impresa prima del fallimento.

IN SEDE DI FALLIMENTO

Quanto al termine per l’esercizio della revocatoria fallimentare si distingue tra pagamenti “anomali”, rispetto al prezzo o rispetto alla modalità di estinzione del debito, per i quali il termine è di un anno dalla dichiarazione di fallimento, e pagamenti normali o abituali, per i quali il termine è di sei mesi.

Per questi ultimi la norma prevede inoltre l’obbligo, per il curatore fallimentare, di provare che, al momento di ricevere il pagamento, vi fosse la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’impresa (cosiddetta “ scientia decoctionis ”) da parte di chi ha accettato il pagamento o la disposizione; in mancanza di tale prova l’atto non può essere revocato.

Vi sono tuttavia alcuni casi di esclusione dall’azione revocatoria fallimentare, tutti accomunati dal fatto che si tratta di pagamenti o atti dispositivi fatti in esecuzione di un obbligo previsto dalla legge o di un piano di rientro dei debiti omologato dal giudice e che, per questo motivo, non possono essere ritenuti in frode alle ragioni dei creditori; tra questi rientrano le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.

RIMESSE SU CONTO CORRENTE

Sull’argomento si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14001 del 31 maggio 2018, su ricorso di un curatore fallimentare che aveva visto respingere, dalla corte territoriale, la domanda revocatoria delle rimesse effettuate su conto corrente bancario da parte dell’impresa poi fallita.

La Corte d’appello, infatti, aveva ritenuto che tali versamenti fossero stati effettuati su un conto “passivo”, per il quale la banca aveva concesso l’affidamento e che, per tale ragione, gli sconfinamenti dovessero ritenersi normali e non indici rivelatori dello stato d’insolvenza.

Ciò – secondo i giudici di legittimità - sulla base dell’allegazione, da parte della banca convenuta, dell'estratto del libro fidi, desumendone una condotta dell'istituto improntata alle prestazioni tipizzate dall'apertura di credito su un conto passivo e affidato, non scoperto.

PROVA DELLA NATURA DEI VERSAMENTI

La Suprema Corte afferma, diversamente, che «in tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell'imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l'esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell'estratto del libro fidi, il quale, al più, attesta l'esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento.

Con la conseguenza che, in difetto di tale prova specifica, il predetto versamento conserva in linea generale la natura solutoria ed è revocabile, avendo valore estintivo del credito della banca.

pubblicato il 21/08/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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