I titoli giudiziari esecutivi

I diritti controversi, per i quali, cioè, occorre un intervento del giudice che ne accerti l’esistenza, la titolarità e gli effetti, per poter essere fatti valere nei confronti della parte che li contesta devono essere attestati da un titolo esecutivo giudiziario.

A tale scopo mirano i procedimenti giudiziari, attraverso i quali si attribuisce certezza alle situazioni giuridiche incerte, quelle, cioè, non riconosciute da tutti i soggetti che vi sono coinvolti; le cause civili, infatti, consentono alle parti interessate di esporre le reciproche posizioni, allegando le prove a sostegno delle proprie ragioni, chiamando l’autorità giudiziaria competente a decidere chi abbia ragione, accogliendo, in tutto o in parte, la domanda di una delle parti e respingendo, per converso, le richieste del soggetto che rimane soccombente.

GIURISDIZIONE CIVILE

La magistratura civile comprende tre gradi di giudizio, i primi due di merito, il terzo di legittimità, al fine di consentire alla parte soccombente di impugnare la decisione e chiedere, all’autorità superiore, di riformarla in suo favore: in primo grado competenti sono il Tribunale e, per le cause di minor valore, il Giudice di Pace, mentre in grado d’appello la competenza è della Corte d’Appello del cui distretto fa parte il primo giudice che ha emesso la decisione impugnata.

La Corte di Cassazione, infine, è il giudice supremo di legittimità, chiamato a pronunciarsi sulla conformità della decisione della corte territoriale alle norme del nostro ordinamento, senza tuttavia poter entrare nel merito delle questioni controverse, salvo alcuni casi particolari.

I provvedimenti emanati dalle citate autorità giudiziarie sono costituiti da sentenze, decreti ed ordinanze e possono avere contenuto decisorio oppure ordinatorio; in ogni caso, per poter essere posti in esecuzione è necessario che divengano “definitivi”.

TITOLI ESECUTIVI

Ciò significa che, per poter essere certi che l’altra parte non muova nuove contestazioni, occorre che la pronuncia giudiziaria non sia più revocabile da altro giudice; per questa ragione il provvedimento diviene definitivo decorso un certo termine previsto dal codice di procedura civile, oltre il quale non è più possibile impugnarlo.

Tutte le sentenze, sia di primo che di secondo grado, possono essere impugnate, così come sono revocabili e reclamabili molte ordinanze; il decorso del termine per l’impugnazione delle sentenze comporta il loro “passaggio in giudicato”, espressione con cui viene indicato il carattere definitivo dei provvedimenti. 

Anche i decreti possono essere oggetto di opposizione da parte del soggetto obbligato ad eseguire il provvedimento; tra di essi assume rilievo – per la frequenza cui vi si ricorre - il decreto ingiuntivo, con il quale il giudice – Tribunale o Giudice di Pace – su istanza di chi vanta un credito certo, liquido ed esigibile, ingiunge al debitore il pagamento di una somma di denaro e delle spese legali.

DECRETI INGIUNTIVI

Come per gli altri provvedimenti anche il decreto ingiuntivo può essere opposto, da parte del soggetto ingiunto cui la parte ricorrente ha notificato il ricorso ed il decreto; in questo caso il termine previsto dalla legge per l’opposizione è di quaranta giorni dalla notifica stessa.

La mancata opposizione rende il decreto ingiuntivo definitivo, con la conseguenza che il creditore non può temere più alcuna contestazione da parte del debitore e può procedere ad azioni esecutive ed al pignoramento dei suoi beni; la definitività, in questo caso – come anche per le sentenze – si dice che “ copre il dedotto ed il deducibile”, cioè il diritto fatto valere dalla parte ricorrente ma anche tutte le questioni connesse non emerse e non dedotte nel ricorso.

Il principio appena richiamato è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, la quale – con l’ordinanza n. 19113/2018 - ha affermato che il decreto ingiuntivo non opposto è assimilabile ad una sentenza di condanna passata in giudicato.

DECRETO INGIUNTIVO NON OPPOSTO

Con l’ulteriore precisazione che il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione.    

Ciò significa che, qualora per negligenza o dimenticanza la parte ingiunta non abbia proposto opposizione nel termine fissato dalla legge, non soltanto non potrà più rifiutare di pagare la somma oggetto del decreto ingiuntivo ma non potrà nemmeno, in un secondo momento, intentare un nuovo giudizio per contestare la pretesa del creditore né far valere vizi o muovere contestazioni relativi al rapporto obbligatorio da cui trae origine il debito.

pubblicato il 01/09/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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