Concorrenza sleale tra imprese

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22042 del 31/10/2016, si è occupata del noto caso giudiziario che ha visto contrapporsi gli interessi economici di due grossi marchi commerciali della grande distribuzione, la Coop Estense ed Esselunga.

Il caso, prendendo le mosse dalla pubblicazione avvenuta qualche anno fa di un libro distribuito da Esselunga, nel quale venivano criticate le politiche commerciali del gruppo avversario, si è occupato dell’argomento della concorrenza sleale tra imprese, tema su cui oggi ci soffermiamo.

LIMITI DI NATURA PUBBLICA...

Partiamo col dire che il nostro ordinamento, all’art. 41 della Costituzione, nel sancire la libertà d’iniziativa economica privata ne segna anche i confini, stabilendo che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.

...E PRIVATA

Se tali sono i limiti di carattere pubblico che l’impresa deve avere, ve ne sono altri previsti dal codice civile, di natura più strettamente privatistica, tra i quali il divieto di atti di concorrenza sleale, contenuto all’art. 2598 c.c..

La norma elenca le tipologie di attività che possono definirsi come concorrenza sleale, che possono essere raggruppate in: atti di confusione, atti di denigrazione, atti di vanteria ed atti contrari alla correttezza professionale.

Tra gli atti di confusione rientra l’utilizzo di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, così come l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente; tra gli atti di denigrazione  la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito; tra gli atti di vanteria l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; infine, riguardo al generale divieto di scorrettezza professionale, la norma sanziona chiunque si valga di mezzi scorretti e sleali idonei a danneggiare l'altrui azienda.

PRESUPPOSTI DELLA CONCORRENZA SLEALE

Presupposto per l’applicazione della disciplina in esame è che le imprese siano tra loro concorrenti; ciò significa, come ha chiarito la giurisprudenza della Cassazione, che deve trattarsi di imprese i cui prodotti e servizi siano destinati alla stessa categoria di consumatori e che, inoltre, operino nello stessa catena produttiva-distributiva di mercato.

Per esservi concorrenza sleale, inoltre, non è necessario che il danno arrecato sia attuale, potendo configurarsi anche in caso di danno potenziale: le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 12103/1995) hanno, infatti, affermato che l'illecito concorrenziale di cui all'art. 2598 c.c. non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo suffciente la potenzialità o il pericolo di un danno, concretantesi nell'idoneità della condotta vietata a cagionare un pregiudizio.

CONDANNA DELL’IMPRESA SLEALE

Nel caso in cui venga accertato in giudizio il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di un’impresa, il Giudice adito la condannerà al risarcimento del danno, in termini di danno all’immagine, da sviamento della clientela e, ove sussistente, di perdita economica subiti dall’impresa concorrente.

L’autorità giudiziaria, inoltre, potrà inibire la prosecuzione degli atti ritenuti sleali all’impresa soccombente ed ordinarne la rimozione degli effetti; ancora, nel caso in cui venga accertata la colposità o dolosità della condotta sleale, potrà essere ordinata la pubblicazione della sentenza su quotidiani e siti di informazione.

pubblicato il 12/11/2016

A cura di: Daniela D'Agostino

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