Pignoramento dello stipendio

 In altre occasioni ci siamo occupati della possibilità, per il creditore insoddisfatto nelle sue ragioni di credito, di agire esecutivamente nei confronti del debitore, pignorando i suoi beni, nelle forme dell’espropriazione mobiliare ed immobiliare, soffermandoci in particolare sui limiti alla pignorabilità dei beni e sul pignoramento del conto corrente.

Oggi esaminiamo il caso del pignoramento dello stipendio, che costituisce sicuramente un motivo di preoccupazione per tutti coloro che percepiscono mensilmente una retribuzione e che temono, a causa dei debiti contratti con terzi o con l’erario, di vedersela espropriare.

LIMITI ALLA PIGNORABILITA’

Innanzitutto va detto che lo stipendio è pignorabile solo parzialmente, in quanto la legge prevede limiti al di sotto dei quali le somme percepite in base al rapporto di lavoro devono rimanere nella disponibilità del lavoratore; ciò in quanto il diritto del creditore va contemperato con il diritto del debitore a condurre una vita libera e dignitosa, diritto costituzionalmente garantito all’art. 36, relativo alla retribuzione lavorativa.

ART. 545 C.P.C.

I limiti alla pignorabilità dello stipendio sono previsti dall’art. 545 c.p.c., che al II comma dispone che le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.

La stessa norma al III comma precisa che tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.

Ciò significa che il limite generalmente applicato alla pignorabilità dello stipendio è quello di 1/5, nel senso che l’importo massimo assoggettabile ad espropriazione è pari ad un quinto dello stipendio, da considerarsi al netto delle trattenute fiscali e previdenziali.

I crediti dovuti per causa di alimenti, come ad esempio il diritto del coniuge separato all’assegno di mantenimento,  sono invece pignorabili nella misura stabilita volta per volta dal giudice dell’esecuzione, in base all’ammontare del credito e dello stipendio pignorato.

STIPENDIO ACCREDITATO SU CONTO CORRENTE

Ulteriore limite è stato introdotto nel 2015 con l’entrata in vigore del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, che ha modificato l’art. 545 c.p.c., aggiungendovi gli ultimi 3 commi, riguardanti la pignorabilità di stipendi e pensioni accreditati su conto corrente intestato al lavoratore o pensionato.

In particolare, per quel che riguarda le somme dovute a titolo di stipendio o salario, come le altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento (t.f.r.), nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, l’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c. stabilisce che dette somme “nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.

Per chiarire tale disposizione di legge occorre premettere che è facoltà del creditore notificare il proprio atto di pignoramento dello stipendio, oltre che al debitore, direttamente al datore di lavoro oppure all’Istituto di credito presso il quale viene accreditato lo stipendio sul conto corrente intestato al lavoratore.

PRASSI FINO AL 2015

In tale ultima ipotesi, prima della riforma introdotta nel 2015, si riteneva – per giurisprudenza consolidata – che l’espropriazione delle somme depositate sul conto corrente non fossero soggette ad alcuna limitazione, dunque fossero pignorabili anche oltre il limite del quinto.
La ragione di tale interpretazione risiedeva nel fatto che, una volta depositate sul conto, le somme dovute a titolo di stipendio o pensione andavano a “confondersi” con eventuali altre giacenze, dunque non era possibile distinguere quali fossero pignorabili.

Con la conseguenza che, nella pratica, essendo quella dell’accredito sul conto la modalità più diffusa di pagamento degli stipendi, il limite alla pignorabilità dello stipendio previsto dalla legge veniva di fatto disatteso.

RIFORMA DEL 2015

Per arginare tale prassi il legislatore ha introdotto le modifiche anzidette, prevedendo, nel caso di stipendi o pensioni accreditati su conti correnti, un doppio limite, distinguendo tra somme già versate sul conto alla data della notifica del pignoramento e somme accreditate successivamente.

Nel primo caso il limite della pignorabilità è quello del triplo della pensione sociale, che attualmente ammonta ad € 448,52; dunque, potrà essere pignorata la parte di stipendio (o pensione) eccedente la somma di € 1.345,56 (448,52 x 3).

Si tratta, come è evidente, di un limite piuttosto alto, che garantisce gli stipendi e le pensioni più basse, relativamente alle somme già accreditate e non ancora prelevate dal conto corrente dal lavoratore.
Nel caso, invece, degli accrediti successivi alla data del pignoramento opererà il limite già previsto dai primi commi dell’art. 545 c.p.c., dunque, per gli stipendi, il limite anzidetto di 1/5.
La norma, infine, dispone che il pignoramento eseguito in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti è parzialmente inefficace, dunque rimarrà valido per la parte consentita dalla legge mentre sarà dichiarato inefficace per gli importi eccedenti i limiti descritti.

pubblicato il 08/01/2017

A cura di: Daniela D'Agostino

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