Locazioni ad uso non abitativo: limiti all’aumento del canone

L’art. 79 della legge n. 392 del 1978 (c.d. legge sull’equo canone) stabilisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti della medesima legge ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge.

DEROGHE ALLA NULLITA’ DELL’AUMENTO DEL CANONE 

Il nostro legislatore, con l’art. 18 del Decreto-Legge 12/9/2014, n. 133, convertito dalla Legge 11/11/2014, n.164, nell’intento di liberalizzare il mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, ha aggiunto un ulteriore comma al suddetto art. 79, prevedendo che “in deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto”.

Con tale intervento legislativo le «grandi locazioni ad uso non abitativo» restano regolate alla Legge 392 del 1978 salvo che le parti concordino contrattualmente, in  maniera specifica, termini e condizioni in deroga.

AUMENTO ISTAT

In breve, in base alla citata disciplina, per le locazioni ad uso non abitativo le parti, nel corso del rapporto, non possono concordare aumenti del canone stabilito contrattualmente, se non nei limiti, consentiti dalla legge, del 75% dell’indice ISTAT; a questa regola fanno eccezione le cosiddette “grandi locazioni”, per le quali è pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000.
Per tutte le altre locazioni ogni accordo – scritto e orale – che preveda un canone maggiorato è nullo, con la conseguenza che il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato, può ripetere le somme in più corrisposte.

LA CASSAZIONE

L’inderogabilità della norma – con l’eccezione predetta – è stata di recente confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8669 del 04/04/2017, nella quale, ribadendo un orientamento consolidato, è stato affermato nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 L. n. 392 del 1978 ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79 comma 1 della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.

Tale orientamento giurisprudenziale si armonizza in modo coerente con l'altro, pure consolidato e pacifico, secondo cui la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (c.d. canone a scaletta) è legittima a condizione che l'aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale; ciò allo scopo di evitare che la suddetta clausola costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui alla L. n. 392 del 1978 art. 32.

pubblicato il 10/05/2017

A cura di: Daniela D'Agostino

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