Fallimento dei consorzi agricoli

Riportiamo un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione, che, con l’ordinanza n.831/2018, definisce la nozione di imprenditore agricolo e di consorzio di imprese agricole, delimitando l’ambito di esclusione dalla procedura fallimentare.

Ricordiamo che, oltre ai requisiti oggettivi e soggettivi previsti dagli art. 1 e 15 della legge fallimentare, di cui abbiamo trattato in altro articolo al quale rinviamo, l’imprenditore, per essere assoggettato alla procedura fallimentare, non deve svolgere attività agricola.

MOTIVI DELL’ESCLUSIONE DAL FALLIMENTO

L’esclusione, risalente all’entrata in vigore, nel 1942, della legge fallimentare, si spiega storicamente con l’interesse dello Stato a mantenere in vita un settore importante dell’economia nazionale, quale quello agricolo; le imprese agricole, infatti, sono per loro stessa natura soggette alle variabili legate alle intemperie ed al mercato, che le penalizza fortemente, per cui il legislatore ha ritenuto opportuno salvaguardarle dalle conseguenze della dichiarazione di fallimento.

Tale scelta, tuttavia, appare, a molti interpreti del diritto, obsoleta e discriminante rispetto alle altre imprese: la critica, come si legge nell’ordinanza citata, nasce dal fatto che il cosiddetto “doppio rischio d’impresa” tipico delle imprese agricole, dovuto ai fattori anzidetti, non è più rinvenibile, soprattutto in presenza di aziende dalle grandi dimensioni, che hanno come oggetto principale della loro attività la commercializzazione di prodotti agricoli a terzi.

In caso di cooperative agricole, inoltre, sempre secondo coloro che vorrebbero equiparare in tutto, anche nella fallibilità, le imprese agricole alle altre, è irrilevante il carattere mutualistico delle stesse, essendo valido come requisito unicamente il loro ruolo sul mercato.

A queste ragioni, di carattere prevalentemente economico, la Corte di Cassazione controbatte attraverso una analisi dettagliata della materia, riguardo in particolare all’attività dei consorzi agricoli.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

La Suprema Corte ripercorre i precedenti giurisprudenziali di legittimità, rilevando come sia stata riconosciuta, dalla Cassazione,  la natura di impresa agricola ai consorzi che svolgono attività prevalentemente verso i soci e non verso il mercato; ad esempio, nel caso di consorzio che svolge attività amministrativo-contabile a favore delle imprese agricole consorziate e dei loro soci.

Anche parametri quali la dimensione dell’impresa, la complessità organizzativa, la consistenza degli investimenti ed il volume d’affari non sono di per sé incompatibili con la natura di impresa agricola, afferma la Cassazione.

Viceversa, è stata riconosciuta la natura di impresa commerciale, come tale soggetta a fallimento, all’impresa che, oltre a rispondere alle esigenze della produzione agricola, svolgeva in modo prevalente, ulteriori attività di tipo industriale e commerciale, quale la raccolta di finanziamenti per i propri associati e la commercializzazione dei prodotti.

Di recente, inoltre, si è affermato che la cooperativa, la quale svolga solo attività connesse a quella agricola, non può essere qualificata imprenditore agricolo (Cass. ordinanza n. 22978/2016).  

DEFINIZIONE DI IMPRESA AGRICOLA

Quanto alle definizione di impresa agricola il richiamo è all’art. 2135 c.c., il quale vi fa rientrare anche le attività “connesse” a quelle agricole; tale norma, tuttavia, va concordata con l’art. 1 secondo comma d.lgs. 228/2001, il quale nel dettare “orientamento  e modernizzazione del settore agricolo”, dispone che si considerano imprenditori agricoli anche coloro che, in forma di cooperativa e consorzi, nello svolgimento delle attività agricole e connesse, utilizzano prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.

A tale ultimo proposito, la ridetta norma va interpretata, secondo la Suprema Corte, nel senso di estendere la qualifica di imprenditore agricolo anche all’impresa, ed al consorzio di imprese, che svolgono attività di “manipolazione” dei prodotti agricoli; ciò in quanto deve confermarsi l’obiettivo del nostro legislatore di sostenere i produttori agricoli sul mercato.

CASI DI ESCLUSIONE DEI CONSORZI

Premesse tali considerazioni, la Cassazione conclude affermando il principio in base al quale, si fini dell’esonero dal fallimento delle società cooperative fra imprenditori agricoli e dei consorzi di produttori che commercializzano i prodotti degli associati, occorre procedere alla verifica:

a) della forma sociale e della qualità dei soci;

b) dello svolgimento di attività agricole in senso proprio o di attività “connesse” alle prime, anche in via esclusiva, da parte della società o del consorzio, ai sensi dell’art. 2135, comma 3, c.c.; c) dell’apporto prevalente dei soci o della destinazione prevalente a questi ultimi di beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 228 del 2001.     

pubblicato il 13/08/2019

A cura di: Daniela D'Agostino

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