La responsabilità per l’esercizio di attività pericolose

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Quali sono le norme applicabili?

La norma di riferimento è quella dell'art. 2050 c.c. per cui chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

L'articolo che si occupa della responsabilità per l'esercizio delle attività pericolose inserisce un ulteriore elemento di particolarità rispetto all'ordinaria responsabilità civile per fatto illecito ai sensi dell'art. 2043.

La peculiarità consiste nell'aggravamento della colpa in caso di sinistro considerato che, esercitando un'attività definibile come “pericolosa”, sussiste appunto un'intrinseca dannosità. I soggetti che svolgono e controllano l'attività dovranno pertanto esercitarla con una maggior cautela rispetto ad una attività qualificabile come “normale” ovvero non rischiosa.

Quali sono le attività che possono essere considerate pericolose?

Al fine di definire con maggiore precisione i confini di applicabilità dell'art. 2050 c.c. rispetto alle altre responsabilità occorre definire cosa si intende per “pericolose”. A tal proposito devono essere prese in considerazione solo quelle attività di per sé potenzialmente dannose in ragione della pericolosità intrinseca ad esse connaturata, a prescindere dalla condotta tenuta da colui che ha commesso il fatto.

Per tale motivo si qualificano come pericolose non solo quelle attività espressamente menzionate per legge dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza, ma più in generale quelle che hanno probabilità superiori, secondo elementi matematico-statistici, di recare danno per la loro stessa natura e/o caratteristiche dei mezzi adoperati.

La casistica risulta molto ampia ed eterogenea essendo ad esempio riconducibile a tale categoria:

  • attività venatoria esercitata mediante l'uso di armi da fuoco;
  • carico e scarico delle merci in ambito portuale;
  • utilizzo di particolari gru o attrezzature;
  • trasporto di materiali estremamente pericolosi come sostanze chimiche infiammabili, tossiche, radioattive o ad alto rischio biologico;
  • produzione e distribuzione del gas o dell'energia elettrica o la gestione delle stesse reti elettriche;
  • attività edilizia, sfruttamento di miniere o cave;
  • produzione e commercializzazione di farmaci.

Come anticipato l'elenco è da considerarsi non esaustivo potendo appunto essere astrattamente configurabile come “pericolosa” una quantità di attività potenzialmente sconfinata.

Cosa cambia rispetto alla responsabilità da cosa in custodia?

Diversamente dalla responsabilità di cui all’art. 2051, c.c. che, come ampiamente sottolineato, riconduce la lesione ad una inadeguata custodia ovvero vigilanza della cosa detenuta, quella connessa all’esercizio di attività pericolose ha alla base una condotta o l'utilizzo di cose che statisticamente rivelano una potenzialità di danno superiore al normale. Proprio per tale motivo è richiesta all'operatore la predisposizione di adeguate misure di prevenzione e controllo che richiedono dunque una diligenza maggiore rispetto a quella prospettata dalla responsabilità da cosa in custodia. Ad esempio il rifornimento del carburante alle stazioni di servizio non può certo essere effettuato da un operatore che in quel momento sta fumando o che comunque non si cura minimamente di rilevare eventuali perdite o esalazioni dalla stazione di rifornimento.

Come liberarsi dalla responsabilità?

Chi esercita l'attività pericolosa si presume responsabile del danno se esiste un nesso di causalità tra un antecedente e l'evento lesivo ovvero quando quest'ultimo rientra tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto. Tale presunzione di responsabilità può essere superata solo dimostrando la presenza di una causa sopravvenuta che deve avere i requisiti tutti del caso fortuito ovvero di eccezionalità ed oggettiva imprevedibilità.

Il caso fortuito può essere integrato:

  • da una causa totalmente ignota che rende del tutto impossibile la riconducibilità del fatto dannoso all'attività pericolosa ad esempio un asteroide che cade su una centrale elettrica;
  • dal fatto del danneggiato o di un terzo quando la loro incidenza causale sia tale da escludere quella riconducibile all'attività pericolosa ad esempio un atto terroristico.

Nel caso in cui risulti impossibile provare il caso fortuito può anche essere dimostrato di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso e quindi il pregiudizio per il danneggiato.

pubblicato il 23/06/2023

A cura di: Luca Giovacchini

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