Mutuo di scopo e fallimento del mutuatario

firma mutuo

In altro articolo abbiamo preso in esame un’ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 16081/2019, avente ad oggetto la questione relativa all’operazione, frequentemente attuata dagli istituti di credito, di “contestualizzazione” dell’ipoteca a fronte di un finanziamento concesso precedentemente ad un proprio cliente, per riposizionarlo.
L’operazione consiste nell’iscrivere ipoteca, a favore della banca, su di un bene immobile di proprietà del cliente debitore, non per far fronte ad un mutuo contestuale all’ipoteca stessa, ma per garantire un debito pregresso scaduto e “riposizionato” con un nuovo finanziamento.

Insinuazione al passivo

I dubbi interpretativi sorgono nel caso di fallimento del cliente, in relazione alla domanda di insinuazione al passivo da parte della banca, che farà valere il proprio credito in via ipotecaria – grado che le consentirà di essere soddisfatta prima fra tutti i creditori – anziché semplicemente in via chirografaria, come sarebbe stato per la domanda relativa al semplice finanziamento non garantito da ipoteca.
Caso analogo è stato esaminato più di recente dalla Cassazione, nell’ordinanza n.1517 del 25 gennaio 2021, trattata in pubblica udienza per la particolare rilevanza della questione, relativa ad un caso di insinuazione al passivo, da parte della banca mutuataria, del proprio credito derivante da un cd. “mutuo di scopo”.

Mutuo di scopo

In pratica, la banca, prima del fallimento del proprio cliente, aveva concesso un finanziamento, inserendo nel contratto di mutuo la clausola che prevedeva la destinazione delle somme “ad investimenti immobiliari”, garantendo la restituzione del prestito con l’iscrizione di ipoteca; a seguito del fallimento della parte mutuante la banca aveva insinuato al passivo il proprio credito, in via ipotecaria.
Il curatore fallimentare si era opposto all’ammissione del credito, ritenendo tale operazione nulla, in quanto simulava una semplice operazione contabile di finanziamento per ripianare un precedente prestito non onorato, dunque si trattava, tuttalpiù, di un credito di natura chirografaria, non ipotecaria.

Clausola di destinazione

La Suprema Corte, nell’esaminare la questione, ricorda innanzitutto che nel mutuo di scopo “convenzionale”, cioè voluto dalle parti all’interno di un contratto di mutuo, occorre che l’interesse alla finalità del mutuo sia non solo del mutuatario (banca) ma anche del mutuante.
Occorre, inoltre, che il testo contrattuale contenga un patto o clausola (c.d. di destinazione) da cui si desuma in modo chiaro che l'erogazione è vincolata a una data, specificae utilizzazione, per cui la parte mutuante si obbliga non solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi ma anche a realizzare lo scopo previsto.

Conseguimento dello scopo

Quando è mancata la realizzazione della finalità prevista, "il contratto è risolubile per inadempimento del mutuatario, a iniziativa del mutuante" (in tal senso anche Cass. n. 3752/1981 e Cass., n. 317/2001).
Ne consegue che la mera enunciazione, nel testo contrattuale, di una certa destinazione delle erogande somme  non indica che la stessa ha carattere vincolante ed esclusiva e che, pertanto, si sia in presenza di un mutuo di scopo.

La Cassazione, in conclusione, afferma il principio in base al quale “l'operazione di ripianamento di debito a mezzo di nuovo credito, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus”.

Patto di modifica del termine

Si tratta, secondo la Corte, di una nuova contrattazione volta semplicemente a differire i termini dell’adempimento del prestito iniziale: il patto di modifica del termine di scadenza dell'obbligazione è accordo che determina una mera "modificazione accessoria dell'obbligazione" e che, quindi, non comporta novazione, ex art. 1231 c.c..
Questa, in definitiva, la ragione per cui la domanda di ammissione al passivo proposta dalla banca non poteva essere accolta in via ipotecaria, in quanto riferita al prestito iniziale, non garantito in via privilegiata.

pubblicato il 27/05/2021

A cura di: Daniela D'Agostino

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