Gli effetti del fallimento sui creditori

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un aumento crescente delle situazioni di crisi delle imprese italiane, in moltissimi casi sfociate nel fallimento delle stesse, con conseguente aumento delle procedure presso le sezioni fallimentari dei Tribunali del nostro Paese. E' bene pertanto fare chiarezza su questo argomento che, inevitabilmente, tocca gli interessi dei creditori che vengono a trovarsi in situazioni decisamente scomode.

LA SORTE DEI CREDITI INSODDISFATTI

In tal caso la posizione dei fornitori dell’impresa diventa anch’essa rischiosa, sotto un duplice aspetto: da una parte, per i crediti insoddisfatti, è possibile fare istanza di ammissione al passivo, sperando di riuscire a partecipare al ricavato proveniente dalla liquidazione della massa patrimoniale dell’impresa.

Va detto che la soddisfazione, anche parziale, del credito insoluto può risultare alquanto incerta, poiché dipende da diversi fattori: la consistenza patrimoniale dell’impresa, la presenza di beni immobili da porre in vendita, il numero di creditori che concorrono tra di loro e, non da ultimo, la natura del credito per cui si agisce.

Se, infatti, il credito vantato è chirografario, cioè non è assistito da alcun privilegio riconosciuto dalla legge, verrà preso in considerazione dal Curatore fallimentare – organo che amministra e rappresenta il fallimento - solo dopo aver liquidato tutti i creditori ipotecari e privilegiati (Istituti di credito, Equitalia, lavoratori dipendenti per t.f.r. e retribuzioni non pagate, etc.), spesso ritrovandosi escluso dalla ripartizione delle somme disponibili. 

L'OBBLIGO DI RESTITUZIONE DEI PAGAMENTI EX ART. 67 L.F.

Il secondo aspetto che riguarda la posizione del fornitore, così come quella di chi abbia ricevuto pagamenti dall’impresa prima che fallisse – è la possibilità che, quanto ricevuto, sia oggetto di domanda di restituzione da parte della curatela del fallimento.

A tal proposito, l’art. 67 della legge fallimentare disciplina l’azione revocatoria fallimentare, prevedendo la revocabilità degli atti a titolo oneroso, dei pegni e delle ipoteche, dei pagamenti effettuati dall’impresa prima del fallimento.

TERMINI DI LEGGE

La norma prevede un doppio termine entro il quale il curatore può esercitare l’azione, a seconda che si tratti di pagamenti “anomali”, rispetto al prezzo o rispetto alla modalità di estinzione del debito, per i quali il termine è di un anno dalla dichiarazione di fallimento, o che si tratti di pagamenti normali o abituali, per i quali il termine è di sei mesi.

Per questi ultimi, inoltre, è previsto che, in corso di causa, il curatore debba provare che, al momento di ricevere il pagamento, il creditore dell’impresa fosse a conoscenza dello stato d’insolvenza dell’impresa; in mancanza di tale dimostrazione, la domanda di restituzione verrà rigettata.

L’art. 67 della legge fallimentare, infine, prevede alcuni casi di esclusione dalla revocatoria, di cui molti introdotti da recenti riforme, tra cui il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012 n. 134, oggetto di prossimo approfondimento.

pubblicato il 30/03/2016

A cura di: Daniela D'Agostino

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