Permessi retribuiti per l’assistenza ai disabili anche al convivente di fatto

E’ in linea con le recenti leggi n. 76 del 20 maggio 2016 (legge “Cirinnà”) e n. 112 del 22 giugno 2016 (legge “Dopo di noi”), nonché con l’orientamento generale espresso negli ultimi anni da dottrina e giurisprudenza sui rapporti familiari di fatto, la sentenza n. 213/2016 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), come modificato dall’art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.

ART. 33  C. 3 L. 104/92

La norma dichiarata incostituzionale, infatti, recita: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.

L'articolo di legge, dunque, esclude dalla possibilità di usufruire dei permessi retribuiti i soggetti che non siano legati al disabile da vincolo matrimoniale o rapporti di parentela o affinità, negando tale diritto ai conviventi di fatto.

MOTIVI DI INCOSTITUZIONALITA’

A seguito di ricorso presentato da una donna alla competente sezione lavoro del Tribunale, con cui la ricorrente chiedeva che le venisse riconosciuto il diritto ai permessi retribuiti in base alla citata norma, con conseguente condanna dell’ente presso cui prestava servizio (una ASL), il Tribunale ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in quanto in contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui viene escluso il convivente di fatto dai benefici previsti.

UNIONE DI FATTO COME FORMAZIONE SOCIALE RICONOSCIUTA

Per la Corte Costituzionale, la questione è fondata e, nel dichiarare l’incostituzionalità della norma nella parte evidenziata, rileva che il permesso mensile retribuito di cui al censurato art. 33 comma 3, è espressione dello Stato sociale, che riconosce il diritto alla cura ed all’assistenza alle persone con handicap in situazione di gravità; tale diritto va garantito al soggetto con handicap, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell’art. 2 Cost., deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”.

Alla stregua di ciò, osserva la Corte Costituzionale, è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità.

La sentenza costituisce un importante punto di partenza per tutte le famiglie di fatto nelle quali è presente un disabile grave, consentendo al convivente di assentarsi dal lavoro per prestargli le dovute cure, con regolari permessi retribuiti, senza correre rischi di rivendicazioni o richiami da parte del datore.   

pubblicato il 11/10/2016

A cura di: Daniela D'Agostino

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