Novità sul diritto al parto anonimo

 Dell’argomento del diritto all’anonimato per la donna che voglia partorire senza rivelare la propria identità ci siamo occupati in altro articolo, mettendo in evidenza il contrasto emerso in giurisprudenza riguardo all’opposto diritto del soggetto nato da madre anonima di conoscere la propria identità biologica.

In quella sede abbiamo riportato due recenti pronunce della Corte di Cassazione, nelle quali si è affermato che l’anonimato vale solo per la madre in vita e che, pertanto, dopo la morte della genitrice biologica che aveva scelto il segreto, il figlio adottato può conoscerne l’identità (Cass. 15024/2016 e Cass. 22838/2016).

S.U. CASSAZIONE N. 1946/2017

Segnaliamo oggi, per l’importanza del tema e la novità del principio espresso, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1946 del 25/01/2017, chiamata a pronunciarsi su richiesta del pubblico ministero intervenuto in un procedimento nel corso del quale un soggetto – figlio adottivo nato da madre anonima - aveva fatto richiesta al Tribunale competente di attivare le procedure per interpellare la propria madre biologica sulla sua volontà di mantenere l’anonimato o, viceversa, di voler rivelare la propria identità al figlio; il Tribunale, come la Corte d’appello, avevano rigettato la richiesta del figlio, sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013.

LA CORTE COSTITUZIONALE

Con quest’ultima importante pronuncia è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 28 comma 7 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui prevede l’irreversibilità del segreto per la donna che voglia mantenere l’anonimato al momento del parto; secondo la Corte Costituzionale, infatti, il diritto della donna all’anonimato deve essere contemperato con il diritto del figlio a conoscere la propria identità biologica.

La norma dichiarata incostituzionale, sempre secondo la Corte, risultava eccessivamente “rigida” nel rendere definitivo ed irrevocabile il diritto all’anonimato, mancando di prevedere ,attraverso un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre biologica, su richiesta del figlio, ai fini dell’eventuale revoca dell’anonimato. 

DIRITTO DELLA DONNA E DIRITTO DEL FIGLIO 

Secondo il pubblico ministero che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, alla luce della richiamata sentenza della Corte Costituzionale , gli aspetti di diritto da chiarire sarebbero due: il primo riguarda il rapporto tra il diritto di ogni individuo a conoscere le proprie origini biologiche ed il contrapposto diritto della donna che ha partorito nell’anonimato a mantenerlo.

Il secondo aspetto investe l’interpretazione della sentenza anzidetta, al fine di individuare i limiti di intervento del giudice ed i suoi poteri giurisdizionali nei processi nei quali viene presentata, dai soggetti interessati – nati da parto anonimo e successivamente adottati – istanza di interpello della madre biologica al fine di conoscere la sua volontà in ordine al mantenimento, o meno, dell’anonimato.

INERZIA DEL LEGISLATORE

Il rilievo posto dal pubblico ministero assume ancora più importanza, laddove si osserva l’inerzia del Parlamento italiano sull’argomento, nonostante la pronuncia della Corte Costituzionale del 2013, che fa riferimento ad un “procedimento stabilito dalla legge” che consenta alla madre anonima, nella massima segretezza, di dichiarare la propria attuale volontà al figlio che ne faccia richiesta.

POSSIBILITA’ PER IL GIUDICE DI INTERPELLARE LA MADRE ANONIMA

Le Sezioni Unite, pronunciandosi con la sentenza n. 1946/2017, hanno statuito che, ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio dettato dalla Corte Costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorchè la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.

pubblicato il 16/02/2017

A cura di: Daniela D'Agostino

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