Danno tanatologico e danno catastrofale

Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere richiesto anche dagli eredi della vittima di un sinistro stradale, o di altro evento lesivo che ne abbia causato la morte, sia a titolo ereditario, in quanto si succede nel diritto al risarcimento del defunto (danno “iure hereditatis”), sia a titolo personale, perché l’evento lesivo ha cagionato un danno direttamente nella sfera del congiunto richiedente (danno “iure proprio”).
All’interno della fattispecie generale del danno non patrimoniale la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato sotto-categorie di danno, tra cui il danno “tanatologico o terminale” ed il danno “catastrofale”, entrambi risarcibili, ove ne ricorrano i presupposti, sia  iure hereditatis, sia iure proprio.

Il caso

In una recente ordinanza, la n. 5448/2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di risarcimento del danno non patrimoniale chiesto dagli eredi di una donna che era stata investita in un sinistro stradale, deceduta dopo 6 giorni di ricovero ospedaliero, in stato di coma.
La Suprema Corte rammenta anzitutto che le espressioni "danno biologico terminale" o "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo.
Sul punto la Cassazione precisa che la perdita della vita, di per sé non risarcibile quale danno subito in proprio dalla persona deceduta in caso di decesso immediato o dopo pochissimo tempo dalle lesioni riportate, va risarcita, nel caso di decesso avvenuto dopo un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni, sotto il duplice profilo del danno biologico c.d. terminale e del danno morale terminale.

Danno biologico e morale terminale

Circa il danno biologico terminale, riferito ai giorni intercorsi tra la data delle lesioni a quella del decesso, esso è trasmissibile "iure successionis", ove la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore, tale essendo la durata minima, per convenzione legale, ai fini dell'apprezzabilità dell'invalidità temporanea.
Il danno morale terminale, o danno catastrofale, consiste nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dover morire, cioè nella "paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali" ed è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente.

Consapevolezza della morte imminente

In difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni: in tal caso, infatti, il danno risarcibile è rappresentato non dalla perdita delle attività cui la vittima si sarebbe dedicata se fosse rimasta sana, ma da una sensazione dolorosa, sicché, al contrario del danno alla vita, l'esistenza stessa del pregiudizio in esame presuppone che la vittima sia cosciente.
Nel caso in esame, la Corte di merito, in corretta applicazione degli esposti principi, ha, in primo luogo, liquidato in via equitativa il "danno biologico terminale" per i sei giorni in cui è rimasta in stato di coma prima di morire; altrettanto correttamente, per mancanza di consapevolezza, non ha invece liquidato il danno morale terminale, atteso che costituiva circostanza pacifica che la donna investita era rimasta in stato di coma per sei giorni e non era quindi nella condizione di lucidità necessaria per rappresentarsi la fine imminente ed addolorarsi per essa.

pubblicato il 17/04/2020

A cura di: Daniela D'Agostino

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