La Cassazione sul danno tanatologico

In materia di risarcimento danni, di recente è intervenuta la III sezione della Corte di Cassazione, con 10 sentenze, denominate dai commentatori “San Martino”, per la data di pubblicazione (10 ottobre 2019), ad oltre 10 anni di distanza dalle omologhe sentenze pubblicate nel 2008.

Attraverso tali pronunce, la Cassazione fa il punto sull’intera materia risarcitoria, fornendo orientamenti per l’applicazione dei diversi istituti giuridici, dal danno biologico al danno morale, alla responsabilità medica e delle strutture sanitarie, al consenso informato, con indicazioni imprescindibili per gli operatori del settore e chiunque voglia addentrarsi in questo argomento.

Sentenza San Martino 28989/20198

Oggi consideriamo la sentenza n. 28989/2019, nella parte relativa alla risarcibilità del “danno tanatologico”, iure proprio e iure hereditario, conseguente alla morte di persona sottoposta a cure mediche e deceduta a causa delle stesse.
Nel caso specifico sottoposto all’esame della Suprema Corte, i parenti della vittima, deceduta a causa di un’infezione contratta nel corso della degenza ospedaliera, chiedevano, tra le altre voci di danno, il risarcimento del danno cd. tanatologico (dovuto, cioè, alla sofferenza psichica collegata alla morte) “iure hereditatis".
Spieghiamo questo concetto ricordando anzitutto che si tratta di una voce del danno morale, di natura cioè non patrimoniale, non espressamente previsto dal Codice Civile ma elaborato dalla giurisprudenza.

Danno iure proprio e iure hereditatis

In particolare, gli eredi della vittima di un sinistro stradale, di un intervento o diagnosi medica errati,  possono chiedere in giudizio il risarcimento del danno tanatologico sia a titolo ereditario, in quanto trattasi della sofferenza psichica patita dalla vittima ed "ereditata" a seguito della sua morte, sia a titolo personale, in quanto l’evento lesivo ha cagionato un danno direttamente nella sfera del congiunto.
In entrambi i casi gli eredi devono fornire in giudizio sia la prova del nesso di causalità tra la condotta del responsabile e l’evento lesivo, sia la prova del danno subito, cioè della sofferenza patita, tanto dalla vittima (danno iure hereditatis) quanto dai parenti che ne chiedono il risarcimento (danno iure proprio).

Tempo di percezione della sofferenza

La risarcibilità del danno tanatologico a titolo ereditario è configurabile, ricorda la Cassazione, laddove tra le lesioni personali subite dalla vittima ed il decesso sia intervenuto un lasso di tempo considerevole, che giustifica il riconoscimento del cd. "danno biologico terminale” al quale può aggiungersi il danno morale, derivante dalla percezione dell’imminente decesso.
In tale lasso di tempo, spiega la Corte, la vittima è in uno stato di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sofferenza, cioè l’agonia, della fine imminente, restando pertanto irrilevante, ai fini risarcitori, il periodo di “manifesta lucidità”.
In ogni caso, rimane esclusa la risarcibilità del danno cd. “da perdita della vita” (chiesto dai ricorrenti ai giudici della III sezione e riconosciuto dalla Corte d’appello), che non può costituire un ulteriore categoria di danno autonomamente risarcibile, oltre a quella del danno tanatologico anzidetto.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità più recente, che la Suprema Corte in questa sentenza ribadisce, è, infatti, quello dell’unitarietà del danno morale e della non duplicabilità delle voci di danno risarcibili in esso ricomprese.

pubblicato il 22/01/2020

A cura di: Daniela D'Agostino

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