Rinnovo della cessione del quinto dello stipendio per i pubblici dipendenti

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La principale fonte normativa della cessione del quinto dello stipendio è contenuta nel D.P.R. 5 gennaio 1980 n. 150, con cui è stato approvato il Testo Unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.

Disciplina e fonti normative della cessione del quinto

Le norme relative alla cessione del quinto dello stipendio, in particolare, sono contenute nel Titolo II con riferimento ai dipendenti pubblici, mentre nel Titolo III è disciplinata la cessione per i dipendenti privati.
Ulteriori fonti normative si rinvengono nelle pronunce della giurisprudenza, in particolare della Corte di Cassazione, nonché dell’organo arbitrale che definisce stragiudizialmente le controversie tra banche e risparmiatori, cioè l’Arbitrato Bancario e Finanziario.

Il caso del rinnovo della cessione

In una recente ordinanza, la n. 7862 del 19/3/2021, la Cassazione affronta il tema del rinnovo della cessione del quinto per i pubblici dipendenti, in un caso che aveva preso il via da un decreto ingiuntivo ottenuto da una società finanziaria nei confronti di un’azienda pubblica di trasporti, per il pagamento delle rate di un finanziamento garantito da cessione del quinto sottoscritto da un dipendente dell’azienda medesima.
Quest’ultima, a sua volta, si era opposta al decreto ingiuntivo predetto, sostenendo che il finanziamento fosse nullo in quanto stipulato dalla finanziaria in violazione degli artt. 38 e 39 del D.P.R. 150/1980, in quanto non si era tenuto conto del fatto che sullo stipendio del dipendente era presente una precedente cessione non ancora estinta.

Art. 39 T.U.

La norma da prendere in considerazione, per la comprensione dell’argomento, è l’art. 39 del T.U. già citato, relativa al rinnovo della cessione, secondo cui è vietato contrarre una nuova cessione prima che siano trascorsi almeno due anni dall'inizio della cessione stipulata per un quinquennio, oppure almeno quattro anni dall'inizio della cessione stipulata per un decennio, salvo che sia stata  consentita l'estinzione anticipata della precedente cessione, nel qual caso può esserne contratta una nuova purché sia trascorso almeno un anno dall'anticipata estinzione.
Qualora la precedente cessione non fosse estinta, può esserne stipulata una nuova dopo la scadenza  dei predetti termini, a condizione che il ricavato della nuova cessione sia destinato, fino a concorrenza, all'estinzione della cessione in corso.
La norma, infine, prevede che, anche prima che siano trascorsi due anni dall'inizio di una cessione  quinquennale, può essere contratta la cessione decennale, quando questa si faccia per la prima volta, fermo restando l'obbligo di estinguere la precedente cessione. Al fine di poter considerare valida una nuova cessione del quinto occorre, pertanto, che vengano rispettati i termini di cui all’art. 39 D.P.R. 150/1980 e che il dipendente possa ammortizzare i costi della prima cessione.

Principi giurisprudenziali

Sul punto la Suprema Corte ha, infatti, osservato che l'orientamento consolidato, sia della giurisprudenza di merito e di legittimità nonché arbitrale, è nel senso che, quella desumibile dagli artt. 38 e 39 del d.P.R 180 del 1950, non sia una invalidità che abbia riflesso sul contratto ma uno strumento di tutela delle ragioni del lavoratore, il quale può provvedere anche alla stipula di nuovi contratti di finanziamento mediante la cessione del quinto purché siano eliminati i maggiori costi che derivano dalla mancata possibilità, per il lavoratore stesso, di ammortizzare quelli della precedente cessione.
Ne consegue che la ratio delle richiamate disposizioni non consiste nell'invalidità del contratto di cessione ai sensi dell'art. 1418, I co. c.c. ma nella responsabilità, posta a carico del contraente professionista - intermediario finanziario - di accollarsi i maggiori costi della precedente cessione che non siano stati ammortizzati dal lavoratore per insufficiente decorso del tempo.

Provvedimenti della Banca d’Italia e dell’ABF

La Banca d'Italia, con provvedimenti del 10/11/2009 e 7/4/2011, ha espressamente previsto la possibilità della estinzione anticipata delle cessioni e, per l'ipotesi di rinnovo di operazioni di cessione in violazione dell'art. 39 d.P.R. 180/1950, ha previsto che i clienti siano ristorati anche delle commissioni percepite dalla rete distributiva e delle quote non maturate dei premi assicurativi.
E, prosegue la Corte, nello stesso senso si pongono le pronunce dell'Arbitro Bancario Finanziario che escludono espressamente l'invalidità del secondo contratto di cessione del quinto stipulato prima del termine previsto dalla normativa di settore; diversamente, infatti, si realizzerebbe una ingiustificata compromissione della libertà negoziale del lavoratore ed una ingiustificata disparità di trattamento tra il consumatore che concluda un prestito con certe garanzie ed il consumatore che concluda un prestito previa cessione del quinto dello stipendio.

pubblicato il 09/07/2021

A cura di: Daniela D'Agostino

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