La filiazione legittima

  Il nostro codice civile, al Titolo VII del Libro I dedicato alle persone ed alla famiglia, disciplina la filiazione legittima e la filiazione naturale, la cui differenza è data dal concepimento del figlio durante o fuori dal matrimonio.

In particolare, in tema di filiazione legittima, il codice dispone che il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio, precisando, all’art. 232, che si presume tale il figlio nato quando sono trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi 300 giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio;  decorsi  i 300 giorni dalla separazione giudiziale dei coniugi detta presunzione non opera se il giudice li ha autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione.    

Ciò non significa che, al di fuori dei periodi indicati, il figlio è ritenuto illegittimo: infatti, Il figlio nato prima dei 180 giorni dal matrimonio è ritenuto legittimo se non ne viene disconosciuta la paternità da uno dei coniugi.

Allo stesso modo, nei casi di separazione, il figlio nato 300 giorni dopo la separazione o l’annullamento del matrimonio può essere ritenuto figlio legittimo, su richiesta di ciascuno dei coniugi o loro eredi, che, nel giudizio di riconoscimento della filiazione, potranno fornire la prova del concepimento durante il matrimonio; anche  il figlio, maggiorenne o rappresentato da un curatore se minorenne, può proporre azione per reclamare lo stato di figlio legittimo.

AZIONE DI DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’

La paternità può essere disconosciuta dal presunto padre ma anche dalla madre o dal figlio maggiorenne o rappresentato da un curatore se minorenne, con azione giudiziaria dinanzi al tribunale, entro termini di decadenza diversi: se proposta dalla madre, entro sei mesi dalla nascita del figlio, se proposta dal padre entro il termine di un anno, che decorre da momenti differenti a seconda dei casi tassativamente previsti dalla legge. Vediamo quali sono.

CASI TASSATIVI

E’ ammesso l’esercizio dell’azione se nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita, quindi tra i dieci ed i sei mesi prima della nascita, è possibile provare in giudizio che i coniugi non hanno coabitato; altro caso è quello in cui, durante suddetto periodo, il marito era affetto da impotenza o anche solo da infertilità; ultima ipotesi è quella dell’adulterio commesso dalla moglie nel medesimo periodo o della gravidanza e nascita del figlio tenute nascoste al marito.

TERMINI DI PRESCRIZIONE

In tutti questi casi il marito può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità entro un anno dalla nascita del figlio, quando egli era presente sul luogo mentre, se era lontano, il termine decorre dal suo rientro; tuttavia egli potrà provare in giudizio di non aver avuto notizia della nascita del figlio entro i suddetti termini, in tal caso l’azione potrà essere esercitata entro un anno dal ricevimento della notizia.

A completare il quadro, piuttosto complesso, dei termini per il disconoscimento della paternità è intervenuta la Corte Costituzionale, con due sentenze, la n.170/1985 e la n. 134/1999, a seguito delle quali è ammessa l’azione da parte del marito entro un anno dal giorno in cui ha avuto notizia dell’adulterio della moglie, nonché da parte della moglie o del marito entro un anno dal giorno in cui siano venuti a conoscenza dell’impotenza di generare di quest’ultimo.

pubblicato il 24/07/2016

A cura di: Daniela D'Agostino

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