La revoca della donazione per ingratitudine

Con la donazione una parte dispone a favore di un’altra dei suoi beni, per mero spirito di liberalità, pur potendosi prevedere, nell’atto di conferimento, una clausola, cosiddetta “modale”, con cui si condiziona la donazione a prestazioni da parte del beneficiario, come ad esempio l’obbligo di prestare assistenza al donante per un certo periodo o fino alla sua morte. 

La donazione, una volta accettata dal donatario, è irrevocabile; vi sono, tuttavia, alcune ipotesi tassativamente previste dalla legge che, per la loro rilevanza e gravità, consentono al donante, o ai suoi eredi, di revocarla; la revocazione comporta l’obbligo per il donatario di restituire i beni ricevuti ed i relativi frutti, mentre se i beni sono stati alienati il donatario dovrà restituirne il valore corrispondente.

CASI DI REVOCAZIONE

La prima ipotesi di revocazione prevista dalla legge, all’art. 801 del codice civile, è l’ingratitudine del donatario, che si realizza con atti particolarmente gravi commessi da quest’ultimo nei confronti del donante.

Si tratta degli stessi atti previsti dal codice civile nei casi d’indegnità dell’erede: omicidio o tentato omicidio del dante causa (donante) o del suo coniuge o ascendente o discendente, altri reati puniti con la stessa pena dell’omicidio, calunnia e falsa testimonianza.

Oltre a quest’ipotesi, la revocazione della donazione può essere fatta per sopravvenienza di figli, quando, cioè, il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne successivamente alla donazione; la relativa azione deve essere proposta entro cinque anni dal giorno della nascita dell’ultimo figlio o discendente legittimo o dalla notizia della loro esistenza.

L’IPOTESI DELL’INGRATITUDINE

In un caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20722/2018, due fratelli avevano citato in giudizio un’anziana signora, chiedendo al giudice di dichiarare la risoluzione del contratto di comodato dell’immobile concesso in uso alla medesima signora ma da questa, anni addietro, donato ai fratelli. 

La donante-comodataria si difendeva in giudizio chiedendo la revocazione della donazione per ingratitudine, atteso il comportamento dei donatari che non avevano tenuto conto delle sue condizioni legate all’età.

Confermando la sentenza della Corte d’appello, che aveva accolto la domanda della donante, la Suprema Corte ribadisce un orientamento precedente basato su un’interpretazione estensiva del concetto di “ingratitudine”, attualizzato ed ampliato.

IL CONCETTO DI INGIURIA

In particolare i giudici di legittimità affermano che l'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si  distacca tuttavia dalla fattispecie penale, in quanto consiste in un comportamento del donatario che manifesti un sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento.

Per tale ragione la condotta dei donanti, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, correttamente era stata ritenuta dai giudici d’appello ingiuriosa in quanto espressione di disistima nei confronti della donante e come un affronto contrastante contro il senso comune di riconoscenza e solidarietà, anche in considerazione dell’età della persona convenuta in giudizio.

pubblicato il 06/11/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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