Aiuto al suicidio: la sentenza della Corte Costituzionale

Segnaliamo, per l’importanza che riveste, la sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 22 novembre 2019, intervenuta sul noto “caso Cappato”, in materia di aiuto al suicidio.
Con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

I fatti

Ricordiamo brevemente la vicenda che ha dato origine a tale pronuncia.

A seguito di un grave incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, la vittima, nota come Dj Fabo, era rimasta tetraplegica, affetta da cecità bilaterale corticale, non era autonoma nella respirazione, nell’alimentazione e nell’evacuazione e pativa acute sofferenze, che potevano essere attenuate solo mediante sedazione profonda. Conservava, però, intatte le facoltà intellettive.
Aveva perciò maturato, a poco meno di due anni di distanza dall’incidente, la volontà di porre fine alla sua esistenza, comunicandola ai propri cari ed entrando in contatto con il noto esponente del Partito radicale M. Cappato, che, dopo lunghi colloqui, si era offerto di accompagnarlo in Svizzera, dove il 27.2.2017 avveniva il suicidio assistito: azionando con la bocca uno stantuffo, l’interessato aveva iniettato nelle sue vene il farmaco letale.
Di ritorno dal viaggio, M. Cappato si era autodenunciato ai carabinieri.

Questione di illegittimità costituzionale dell'ART. 580 C.P.

Con ordinanza del 14 febbraio 2018 la Corte di Assise di Milano, chiamata nel caso specifico a giudicare sulla sussistenza del reato, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p., che prevede il reato di istigazione o aiuto al suicidio “nella parte in cui prevede che l'aiuto al suicidio sia punibile anche se la persona che ha inteso porre fine alla sua vita (a) è affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in via a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
La Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ribadisce i rilievi già in precedenza espressi con l’ordinanza n. 207/2018 (che aveva sospeso la pronuncia, in attesa di un intervento legislativo in materia, mancato) affermando in primo luogo che l'incriminazione di aiuto al suicidio non si pone in contrasto con la Costituzione; l'art. 2 Cost., infatti, sancisce il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non quello di riconoscere all'individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire.
Al tempo stesso non è possibile neppure desumere la generale inoffensività dell'aiuto al suicidio da un generico diritto all'autodeterminazione individuale, riferibile anche al bene della vita; la ratio dell’art. 580 c.p., infatti, è la tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che potrebbero essere indotte da terzi ad un gesto estremo come il suicidio.

ART. 32 Costituzione e Legge 219/2017

Se, tuttavia, come nel caso in esame, si tratta di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di grandi sofferenze divenute intollerabili, tenuta in vita con mezzi artificiali, pur mantenendo piene facoltà mentali, l'assistenza di un terzo nel porre fine alla vita può presentarsi come l'unica strada percorribile per interrompere i trattamenti artificiali, che la persona ha diritto di rifiutare in base all'art. 32, secondo comma, della Costituzione.
In linea con tale ultima norma è anche la legge n. 219/2017, comunemente nota come legge sul “biotestamento”, che nell’introdurre le DAT (disposizioni anticipate di trattamento- si veda l’articolo sull’argomento),riconosce ad ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, anche di idratazione e nutrizione.
Infine, la Corte Costituzionale rileva che la legislazione vigente in Italia non consente l’aiuto al suicidio, con la conseguenza, per il paziente, di essere costretto a subire un processo più lento e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care.
La conclusione è che entro lo specifico ambito considerato, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare ingiustificatamente nonché irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli art. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli, in ultima analisi, un'unica modalità per congedarsi dalla vita.
Di qui la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte evidenziata dalla Corte.

pubblicato il 31/01/2020

A cura di: Daniela D'Agostino

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