Clausola risolutiva espressa e inadempimento contrattuale

mano con penna in procinto di firmare un documento

L’inserimento della clausola risolutiva espressa nelle stipule contrattuali è frequente: mediante tale clausola i contraenti convengono espressamente che, nel caso una determinata obbligazione non venga adempiuta secondo le modalità stabilite, il contratto si risolve automaticamente.

Risoluzione di diritto

L’effetto di tale convenzione, disciplinata all’art. 1456 del codice civile, è pertanto la risoluzione di diritto del contratto in caso di inadempimento agli obblighi specificati di una parte, senza necessità di agire in giudizio per l’accertamento della responsabilità della parte inadempiente.

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, che si è più volte pronunciata sull’argomento, perché la clausola risolutiva possa dirsi validamente apposta in un contratto è in primo luogo necessario che siano specificati i casi in cui l’inadempimento è ritenuto di tale gravità da comportare la risoluzione automatica del contratto, non potendo ritenersi valida una previsione di generico inadempimento.

Inadempimento specifico

Con una recente ordinanza, la n. 23879/21, la Suprema Corte ha precisato che per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto.

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa, inoltre, non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice (in tal senso anche Cass. 16 maggio 1997 n. 4369).

Tutela del consumatore

Va detto, inoltre, che è molto comune la previsione della clausola risolutiva espressa nei contratti “standard”, cioè predisposti mediante moduli prestampati da imprese di grandi dimensioni e destinati a una molteplicità di contraenti.

A tal proposito si dibatte, tra gli addetti al settore, circa la natura vessatoria – o meno – della clausola risolutiva espressa; infatti, solitamente la clausola è prevista a favore dell’impresa e in danno del consumatore, il quale si troverà in posizione svantaggiata rispetto alla controparte, che ha un potere contrattuale più forte.

Clausole vessatorie

Per questo motivo si è soliti inserire la clausola nell’elenco delle clausole “vessatorie”, soggette alla specifica approvazione per iscritto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. che, per essere valide, devono essere poste ben in evidenza nel contratto, richiamate espressamente e sottoscritte specificatamente.

Con riferimento al codice del consumo è maggioritaria l’interpretazione secondo cui il carattere di clausola abusiva o meno discende dalla valutazione in concreto nel contesto del contratto; l’inefficacia della clausola risolutiva si avrà solo se essa determina un’alterazione dell’equilibrio contrattuale, nel senso che inadempienze anche minime del consumatore possano provocare la risoluzione, mentre al professionista venga lasciata ampia libertà di ritardare o comunque variare l’esecuzione della prestazione.

pubblicato il 02/11/2021

A cura di: Daniela D'Agostino

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