Immobile acquistato da soggetto incapace: nullità dell’atto

La Corte di Cassazione, in una recente pronuncia, si è occupata di un caso di immobile venduto a terzi da un’anziana signora, di cui era stato accertato lo stato di incapacità unitamente allo stato di soggezione psicologica indotto dal figlio. Le norme prese in esame nella sentenza n. 10329 del 19.5.2016, per giungere alla conferma della nullità della vendita, sono l’art. 428 del codice civile e l’art. 643 del codice penale, che disciplinano, pur se in ambiti diversi, gli effetti degli atti posti in essere dagli incapaci.

L’accezione di incapacità data dalle due norme è, tuttavia, diversa e diverse sono le conseguenze, sulle quali la Cassazione si è soffermata per confermare l’invalidità della vendita.

ART. 428 C.C.: INCAPACITA’ NATURALE

Nello specifico, l’art. 428 c.c. prevede che gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata, per qualsiasi causa anche transitoria, incapace d’intendere e volere al momento in cui sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa se ne risulta un grave pregiudizio all’autore; in caso di contratti dovrà essere provata la malafede dell’atro contraente. L’azione di annullamento si prescrive in cinque anni dal giorno in cui l’atto è stato compiuto.

ART. 643 C.P.: CIRCONVENZIONE D’INCAPACI

L’art. 643 c.p. punisce, invece, il reato di “circonvenzione d’incapaci”, sanzionando chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico dannoso per lei o per altri.

La sanzione prevista per questo tipo di reato è la reclusione da due a sei anni e  la multa da  duecentosei euro a duemilasessantacinque euro; dal punto di vista civilistico, cioè del danno patrimoniale subito dall’incapace o dai suoi eredi e aventi causa, le conseguenze sono quelle previste dall’art. 1418 c.c., che dispone la nullità di tutti i contratti contrari a norme imperative ed aventi causa illecita.

L’azione di nullità, diversamente dall’annullamento, è imprescrittibile è può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, nonché rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque fase nel processo.

DIFFERENZE TRA LE DUE FATTISPECIE

Nell’analizzare le due fattispecie la Cassazione ha precisato che “mentre per l’incapacità naturale di cui all’art. 428 c.c. è richiesta una menomazione della sfera intellettiva e volitiva di particolare gravità, pari a quella necessaria per l’interdizione, pur se momentanea e transitoria”, diversamente nella circonvenzione d’incapace è sufficiente che il soggetto versi in una situazione di “fragilità psichica, derivante dall’età, dall’insorgenza o dall’aggravamento di una patologia neurologica o psichiatrica, o dovuta ad anomale dinamiche relazionali”, che consentono all’autore del reato di circuire la vittima ed indurla a compiere atti che altrimenti non avrebbe compiuto.

Nel caso sottoposto all’esame della Corte Suprema era stata proprio una anomala dinamica relazionale, tra madre e figlio, aggravata dalle condizioni neurologiche della prima peggiorate con l’avanzare degli anni, a determinare la vendita dell’immobile.

Nel corso dell’intero processo, in primo e secondo grado, infatti, era stato dimostrato che l’anziana signora era succube del figlio, il quale l’aveva indotta a vendere l’immobile, per poi incassare interamente il prezzo della vendita e trasferire la madre in una casa di riposo, dove la signora era deceduta dopo un po’ di tempo.

A seguito della morte della signora l’altro figlio aveva, quindi, agito in giudizio per far accertare e dichiarare la nullità della vendita, in quanto compiuta per effetto di circonvenzione.
Quanto al danno patrimoniale subito dalla signora era stato dimostrato che il prezzo della vendita era stato versato dall’acquirente a mezzo di assegni intestati al figlio, il quale aveva incassato tutta la somma, senza alcuna remunerazione per la madre.

Alla luce di ciò la Cassazione, nel confermare la decisione d’appello, dava ragione al figlio che aveva impugnato l’atto di compravendita, ribadendone la nullità, con ogni conseguenza di legge quanto agli obblighi di restituzione da parte dei terzi acquirenti, di cui era stata dimostrata – tra l’altro – la consapevolezza dell’incapacità della venditrice.

pubblicato il 02/06/2016

A cura di: Daniela D'Agostino

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