Coppie omosessuali e filiazione: il punto delle Sezioni Unite della Cassazione

In materia di trascrizione nei registri dell’anagrafe italiana del provvedimento emanato all’estero con cui viene riconosciuto il figlio di coppie omosessuali, avuto con il ricorso a tecniche di fecondazione assistita, si è avuto negli anni ad un alternarsi di decisioni della giurisprudenza, che, caso per caso, ha riconosciuto o meno la trascrizione richiesta.

UN PRECEDENTE GIURISPRUDENZIALE

Ricordiamo, in proposito, una pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 19599 del 30/09/2016, nella quale veniva riconosciuto il diritto di due donne ad ottenere la trascrizione in Italia dell’atto straniero di riconoscimento del figlio, concepito attraverso la donazione dell’ovocita da parte di una di esse all’altra, che aveva a sua volta portato a termine la gravidanza mediante fecondazione con gamete maschile di un terzo ignoto.

Secondo la Suprema Corte tale tipo di filiazione integrava un’ipotesi di genitorialità realizzata all’interno della coppia, assimilabile alla fecondazione eterologa, dalla quale si distingueva per essere il feto legato biologicamente ad entrambe le donne.

CONCETTO DI ORDINE PUBBLICO

La citata sentenza, di cui abbiamo trattato in altro articolo, è di particolare interesse in quanto analizza il concetto di “ordine pubblico” – al quale l’ufficiale dell’anagrafe competente si era richiamato per rifiutare la trascrizione, da cui il ricorso delle due donne -  ampliandolo ed estendendone la portata oltre i limiti delle leggi interne allo Stato.

Più in dettaglio, la Corte di Cassazione rileva come, nel corso degli anni, si sia passati  da un sistema di valori etici riconosciuti all’interno del nostro Stato, ad un sistema più ampio, in cui vengono considerati anche principi di livello comunitario ed internazionale, tra cui la Dichiarazione ONU sui diritti umani e la Convenzione europea sui diritti del fanciullo.

STATUS DI FIGLIO

Nello specifico, il provvedimento impugnato doveva ritenersi valido in quanto conforme al superiore principio dell’interesse del minore al riconoscimento del proprio status di “figlio” ed al diritto di ogni individuo alla propria identità personale collegata alla nazionalità.

Detta sentenza, per la sua portata innovativa ed in un certo senso rivoluzionaria, ha dato adito a numerose polemiche da una parte, dall’altra motivando le coppie omosessuali a far ricorso ai Tribunali per il riconoscimento della filiazione e la trascrizione nei registri dell’anagrafe dell’atto di nascita del proprio figlio, proprio sulla base del diritto prioritario di questi ad ottenere il relativo status giuridico.

LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE

A far chiarezza sul punto, al fine di comporre i diversi orientamenti giurisprudenziali, è intervenuta di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 12193 pubblicata il giorno 8.5.2019, che, in modo articolato e complesso, affronta l’argomento alla luce dei principi costituzionali e di diritto internazionale richiamati.

Il caso affrontato dalla Sezioni Unite parte dal ricorso presentato da una coppia formata da due uomini, che aveva utilizzato, in Canada, una tecnica di procreazione medicalmente assistita, con la collaborazione di due donne, una delle quali aveva messo a disposizione gli ovociti, fecondati con il seme di uno dei due uomini, mentre l’altra aveva provveduto alla gestazione,  da cui erano nati due bambini, dati alla coppia.

Il genitore non biologico, cosiddetto “d’intenzione”, aveva quindi chiesto il riconoscimento della filiazione anche nei suoi confronti, provvedimento autorizzato all’estero ma non in Italia.

LEGAME BIOLOGICO CON IL FIGLIO

Proprio richiamando il precedente giurisprudenziale di cui alla sentenza citata n. 19599/2016, le Sezioni Unite ne evidenziano le differenze rispetto al caso sul quale sono chiamate a pronunciarsi; la distinzione principale risiede nel fatto che, nel caso delle due donne, entrambe avevano un legame biologico con il figlio (una aveva donato l’ovulo all’altra che aveva condotto a termine la gravidanza), mentre nel caso della coppia formata dai due uomini solo uno aveva tale legame con il figlio, mentre l’altro ne era estraneo.

La fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite rientra, dunque, pienamente nel concetto di “maternità surrogata”, in cui una donna estranea alla coppia genitoriale presta il proprio corpo per la gestazione, privandosi poi del nascituro per darlo alla coppia.

DIVIETO DI MATERNITA’ SURROGATA

Questo tipo di tecnica, consentita in altri Stati come il Canada, in Italia è vietata dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, che – sottolineano le Sezioni Unite - assume rilevanza costituzionale, in quanto tutela valori, come la dignità umana, in particolare della gestante, di rango superiore.

La tutela del minore, in questi casi, può essere assicurata dal nostro ordinamento facendo ricorso all’istituto dell’ “adozione in casi particolari”, previsto dall’art. 44 comma primo lett. d) legge n. 184 del 1983, da parte del genitore non biologico, escludendo, pertanto, la trascrizione all’anagrafe italiana del provvedimento straniero che ne riconosce la filiazione.

pubblicato il 01/06/2019

A cura di: Daniela D'Agostino

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