Danno biologico terminale

strumenti della legge: martelletto, campanello, libro e bilancia del giudice

Con l’espressione “danno biologico” si fa riferimento alle conseguenze dannose per la propria salute, patite da un soggetto in conseguenza di un evento lesivo, quale può essere un incidente stradale, un intervento chirurgico mal riuscito o ogni altro fatto da cui possa derivare un danno alla salute.
In questo tipo di danno rientrano sia le lesioni fisiche, sia quelle psichiche, sia quelle temporanee che quelle permanenti, cioè quelle che comportano, per il danneggiato, postumi invalidanti.

Danno terminale

Un’altra voce di danno biologico, che negli anni passati ha creato una certa confusione tra gli operatori del diritto, è quella del “danno terminale”, anche detto “tanatologico”, “catastrofale”, “esistenziale”; con tutte queste espressioni si indica il danno consistente nella perdita della vita, da parte di un soggetto coinvolto in un sinistro.
La Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sull’argomento, con l’ordinanza del 5 luglio 2019 n. 18056, richiamata nella recente ordinanza n. 21508/2020, analizzando in dettaglio la fattispecie.
I giudici della Suprema Corte, in particolare, hanno chiarito che il danno non patrimoniale da uccisione viene sofferto dalla persona che, ferita, sopravviva per un certo tempo e poi muoia a causa delle lesioni riportate.

Lesione alla salute e lucida agonia

Esso si manifesta in due forme: 1) la lesione della salute, che ha fondamento medico-legale, consiste nella rinuncia allo svolgimento delle ordinarie attività durante l’invalidità e sussiste anche in caso di incoscienza della vittima; 2) la formido mortis, ossia il turbamento derivante dalla consapevolezza della morte imminente, la lucida agonia, il dolore derivante dalla consapevolezza della fine prossima, dell’abbandono dei propri cari.
Quest’ultimo tipo di lesione, a differenza del primo tipo, come precisa la Cassazione, non ha fondamento medico-legale, consiste in un moto dell’animo, sussiste solo se la vittima sia cosciente e consapevole della propria fine; oggetto del risarcimento è la sofferenza patita a fronte della morte sopravveniente, e, pertanto, la durata della sopravvivenza non rappresenta un elemento costitutivo del danno.
Una sopravvivenza di pochi minuti è sufficiente al morente per percepire l’arrivo della fine, al contrario, una lunga sopravvivenza, caratterizzata dall’incoscienza, esclude questa forma di danno (Cass. Ord. 32372/2018; Cass. S.U. 26972/2008).

Distinzione

In base agli studi medico-scientifici, aggiunge la Suprema Corte, per riconoscere la risarcibilità del danno alla salute è necessaria una sopravvivenza di almeno 24 ore, a prescindere dallo stato di coscienza o incoscienza della vittima; viceversa, per la sofferenza patita in punto di morte (formido mortis o lucida agonia) non esiste un limite temporale, ma semplicemente la consapevolezza dell’approssimarsi della fine. Il danno deve essere accertato con gli ordinari mezzi di prova e liquidato in via equitativa, tenuto conto della specificità della fattispecie.
La suddetta distinzione non è fine a se stessa, in quanto si tratta di stabilire, in sede giudiziale, il diritto degli eredi della vittima, deceduta a seguito di lesioni, ad ottenere il risarcimento del danno biologico terminale.
Il principio affermato nelle ordinanze richiamate, in proposito, è il seguente: “la persona che, ferita, non muoia immediatamente, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento di due pregiudizi: il danno biologico temporaneo, che di norma sussisterà solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore (tale essendo la durata minima, per convenzione medico-legale, di apprezzabilità dell’invalidità temporanea), che andrà accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta cosciente; ed il danno non patrimoniale consistito nella formido mortis, che andrà accertato caso per caso, e potrà sussistere solo nel caso in cui la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente”.

pubblicato il 09/09/2021

A cura di: Daniela D'Agostino

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