La risoluzione del contratto nel leasing traslativo

Nei contratti di compravendita, in caso d’inadempimento dell’acquirente, il quale ometta di pagare in tutto o in parte il prezzo del bene acquistato, la legge stabilisce che il contratto si risolva, cioè si sciolgano i reciproci obblighi.

Art. 1526 c.c.

Gli effetti della risoluzione per inadempimento del compratore sono stabiliti dall’art. 1526 del codice civile, secondo cui, in conseguenza dell’inadempimento, il venditore ha diritto alla restituzione del bene ed al risarcimento del danno ma deve restituire le eventuali somme già ricevute dall’acquirente, ad esempio a titolo di acconto o, in caso di pagamento rateale, le rate già versate.
La restituzione delle somme ricevute fa salvo il diritto del venditore ad un “equo compenso” per l’utilizzo della cosa da parte dell’acquirente fino a quel momento, nonché il diritto al risarcimento degli eventuali danni patiti.
Al secondo comma la norma prevede che le parti possano pattuire che la parte di prezzo già versata dall’acquirente sia trattenuta dal venditore, a titolo di indennizzo per l’inadempimento; all’ultimo comma, infine, tali previsioni vengono estese anche al contratto di locazione di beni con effetto traslativo.

Leasing traslativo

A tale ultimo proposito si parla di “leasing traslativo” per indicare un negozio giuridico, normalmente diffuso tra le imprese che hanno necessità di acquistare beni, macchinari o immobili per lo svolgimento della propria attività ma non hanno  disponibilità di tutto il denaro occorrente per l’acquisto, oppure vogliono differire l’acquisto della proprietà ad un momento successivo, pur potendo utilizzare il bene.
L’effetto è “traslativo” perché al termine della locazione l’utilizzatore acquista la proprietà del bene, pagando, solitamente, una “maxirata” finale o, in ogni caso, il saldo del prezzo pagato con il versamento dei canoni di locazione, che vengono così trattenuti dal concedente a titolo di acconto.   
Nel leasing, in caso di inadempimento dell’utilizzatore del bene, in giurisprudenza ci si è chiesti se sia comunque sempre applicabile l’art. 1526 c.c. anzidetto, con il conseguente dovere, per il concedente, di restituire i canoni di locazione ricevuti, a fronte della restituzione del bene da parte dell’utilizzatore.

La giurisprudenza della cassazione

Tale argomento viene affrontato dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 27999/2019, nella quale innanzitutto si ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui solo nel leasing traslativo, non anche in quello di puro godimento (non finalizzato, cioè al trasferimento della proprietà del bene) si applica la norma di cui al citato art. 1526.
Premesso, ciò, la Suprema Corte rileva come, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni da parte del concedente non deve ritenersi un obbligo assoluto, ben potendo essere valutata, dalle parti come dal giudice investito della relativa causa, a seconda delle specifiche circostanze in cui si è verificata la risoluzione contrattuale.

Clausole risarcitorie

La restituzione dei canoni prevista dall’art. 1526, infatti, risponde a ragioni di riequilibrio delle posizioni contrattuali, per cui è necessario valutare, caso per caso, se vi siano sperequazioni tra le parti ed individuare le modalità per eliminarle, ad esempio prevedendo nel contratto clausole di risarcimento forfettario del danno del concedente, a fronte della restituzione dei canoni, oppure come la stessa norma prevede, che i canoni vengano trattenuti dal concedente a titolo di indennizzo.

pubblicato il 13/12/2019

A cura di: Daniela D'Agostino

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